Nel 1870 dalla breccia di Porta Pia, oltre ai bersaglieri di Raffaele Cadorna e al sottotenente Edmondo De Amicis, entrarono infatti anche i venti nuovi della libertà e della rivoluzione. E sparì così la Roma di un Papa pastore e giustiziere, assopita sulla sua storia millenaria e adagiata su rovine antiche sparse ovunque attraversate dal vento sottile e pungente della voce popolana e beffarda di Gioacchino Belli o dell’impietoso Pasquino. Come il piacevole “ponentino”, quei venticelli torneranno anni dopo con Trilussa e Petrolini a riprendere gli umori sempre turbolenti “der popolo incazzato”. Negli anni del “ventennio” appunto, quelli fattivi delle grandi bonifiche, dei piani agrari, delle nuove opere urbanistiche e architettoniche, Roma diventerà la capitale autarchica di un’Italia nuova ed operosa illuminata da un effimero sole “libero e giocondo” ma soprattutto dai riflettori di un moderno, sensazionale e dirompente mezzo di comunicazione: il cinema.
Sarà il cinema a creare i nuovi miti, i divi, le mode, i sogni e le illusioni finché anche Roma avrà nel 1935 a Cinecittà la sua Hollywood animata da registi ben diversi dagli americani, per cultura e capacità, come Blasetti, Camerini, Soldati, De Sica, Antonioni, Visconti e attori straordinari dallo stesso De Sica a Totò, dalla Ferida alla Calamai.
Con il cinema arriveranno anche la distrazione e la spensieratezza. Fu in buona parte anche il cinema, oltre al Piano Marschall, ad allontanare anni dopo i lutti, i dolori e i disastri di una guerra terribile e mondiale. Gli americani sfornavano film in continuazione, dai western a Via col Vento, i cui attori, belli e sorridenti, animavano il jet set internazionale ispirando mode ed atteggiamenti molto glamour mentre da noi il neorealismo raccontava l’Italia del dopoguerra, della volontà di lasciarsi il passato alle spalle, della disperazione e del riscatto e comunque della speranza.
Ma saranno proprio le antiche vestigia e i passati fasti a riaccendere su Roma le luci di una ribalta “colossale” ed effervescente. Vacanze Romane con Gregory Peck ed Audrey Hepburn (1953) e il premiatissimo Ben Hur (1959) con Charlton Heston, entrambi con la regia di William Wyler, rilanciano l’immagine e la storia di una Roma imperiale ed eterna, nuovamente gaudente, illuminata e piacevole da vivere.
Seguirà nel 1963 il grandioso Cleopatra con gli amori burrascosi, non solo sul set, tra Cesare e Cleopatra ma anche nella vita tra Richard Burton e Liz Taylor con gran fermento dei rotocalchi di tutto il mondo e dei locali notturni di via Veneto.
Erano gli anni ’60, gli anni del boom economico, dove tutto era facile, il futuro splendente, gli amori facili ed impetuosi e lungo i marciapiedi di via Veneto, come alcove volanti, erano in attesa fiammanti auto americane, barocche e piene di cromature vicino alle più belle ma essenziali auto sportive italiane, quelle oggi regine di importanti aste internazionali, quelle di Porfirio Rubirosa e Baby Pignatari, quelle di Sandro Pallavicini e di Roberto Rossellini. Con decine di paparazzi a cercare di catturare scandali, velate nudità, litigi e sorrisi. Famosa la frase del mitico Rino Barillari, vero re dei paparazzi, a Rock Hudson per farlo sorridere piuttosto che con un solito: “cheese !”, con un più genuino: ” ‘a Rocco dicce formaggio !”.
Ma il bello, per gli appassionati anche di auto come me, arrivò quando vidi il barone Franchetti posteggiare la sua Alfa Romeo 6C 1750 del 1932 davanti al Cafè de Paris, oggi chiuso … per mafia. Con lui la bellissima cugina Afdera (futura moglie di Henry Fonda) e Silvana Mangano. Erano loro i veri registi non tanto della dolce vita chiassosa e spensierata, quanto della vera vita, quella dei palazzi e dei salotti più esclusivi, non solo di Roma ma di ogni angolo del mondo dove incontravi i più noti politici e i prelati più raffinati.
Henry Fonda e Afdera Franchetti |
Tra essi primeggiavano appunto Giorgio Franchetti e Francesco Santovetti che già nel 1962 avevano fondato a Roma il Registro Italiano Alfa Romeo, un’altra leggenda della passione, della cultura e dell’entusiasmo del bel paese destinata anch’essa, quasi sessant’anni dopo, a scomparire probabilmente nel banale e a confondersi nella decadenza multinazionale dei tempi. Una vita divenuta oggi non più dolce, ma solo rumorosa, tra rifiuti di ogni genere sparsi ovunque, giovanissimi dagli occhi spenti e dai pantaloni lacerati, i visi illuminati dal chiarore dei loro telefonini, amici nel web e ignari della storia e della cultura che hanno attraversato quella piazza e quel Ponte …. dai tempi dell’imperatore Costantino.
I primi raduni romani si svolsero all’ombra dei secolari alberi di Villa Glori, sotto il quartiere Parioli, nello spiazzo con la stele che ricorda ancora il sacrificio dei Fratelli Cairoli per la liberazione di Roma nel 1867. Poi vennero le gite ai Castelli con pranzi indimenticabili al mitico Vecchio Fico, poco prima di Grottaferrata, per arrivare piano piano ….. fino in Inghilterra. Nel 1962, in pieno boom economico e mutuando l’idea ed il nome dagli amici inglesi, fu costituito anche il Riar (Registro Italiano Alfa Romeo) che ebbe la sua sede nel Villino delle Fate, costruzione romantica e stravagante dovuta all’estro di Gino Coppedè, in via Brenta 7 già dimora del tenore Beniamino Gigli. La sede ludica e conviviale non poteva che essere il Circolo Canottieri Aniene sul Tevere nelle cui sale venivano prese “impegnative” decisioni motoristiche e mondane ….. l’ars amatoria è sempre stata infatti un elemento che ha accompagnato il cammino di tante passioni, quella dell’auto per prima. Ci sarebbe qui spazio per un intero libro di memorie inutili, piccanti, sentimentali, avventurose e persino comiche con il pacato brontolio di vecchi motori nel sottofondo.
Ma questa è la Roma sparita, la Roma sporca e decadente dei nostri giorni, con la sua volgare chiassosità e il traffico indifferente, con turisti laceri e frettolosi lungo strade piene di buche in cui precipitano i ricordi di un passato non lontano ma molto diverso ….