giovedì 22 marzo 2018

"Milano... Il Biscione dai Visconti all'Alfa"

Da una breve prefazione di Giuseppe Luraghi, mitico Presidente Alfa Romeo, al volumetto di Gonzalo Alvarez Garcia sugli stemmi della Signoria Viscontea e del Comune di Milano del 1972.

"Abbiamo pensato di raccogliere in questo opuscolo i risultati di una ricerca effettuata dal nostro collaboratore Gonzalo Alvarez Garcia sull'evoluzione dello stemma della città di Milano, perchè riteniamo di presentare una storia interessante e poco nota.

Per noi dell'Alfa Romeo, naturalmente,si tratta di una storia di particolare importanza, visto che lo stemma della città costituisce anche il cuore del marchio della nostra Società. 

La denominazione di "Fabbrica del biscione" con la quale l'Alfa Romeo da ormai più di mezzo secolo va famosa nel mondo per le sue realizzazioni tecniche nel campo automobilistico e nel campo aereonautico, per le sue vittorie sportive, viene da codesto biscione che caratterizza in modo inimitabile il marchio sociale: serpente biblico o animale totemico dei longobardi, è sempre un simbolo di sagacia, di potenza, di felice augurio e di fortuna; una elevata distinzione per stendardi e bandiere di imprese famose.

Dunque non a caso questo emblema che ha contrassegnato le maggiori famiglie della storia milanese è un degno alfiere e ne porta onorevolmente lo stemma con successo ovunque nel mondo" 
                             
                                                                                                                 Giuseppe Luraghi                                                





L'incredibile storia del monumento all'Alfa Romeo



 L'Alfa Romeo è indiscutibilmente una delle più note Case automobilistiche del mondo e nel 2010 ha compiuto ben 100 anni.  Pensate quale evento straordinario esso sia stato per una Azienda tuttora in attività la cui storia ormai sconfina nella leggenda.  Una Azienda otre cento anni fa non certo piccola, la nostra ALFA; nata dal fallimento di un'altra casa automobilistica, la Darraq, essa ha avuto sempre una vita piuttosto travagliata, continuamente gravata da agitazioni sindacali, mutamenti di assetti societari, problemi economici, due grandi conflitti bellici, scioperi, sabotaggi e attentati, agitazioni continue ed ingerenze politiche di ogni genere, ... Eppure, malgrado tutto, da quelle celebri officine del Portello e di Arese, dove "i meccanici sapevano fare i guanti alla mosche !", come diceva Enzo Ferrari, sono venute fuori vetture famose, guidate da piloti entrati anche essi nella leggenda, che hanno vinto tutto quello che c'era da vincere sulle piste e sulle strade di tutto il mondo. E non solo con automobili.

 Il suo stemma, l'antico Biscione della nobile famiglia dei Visconti di Milano, che risale addirittura al sec. XI°, l'epoca delle Crociate, ha sempre conquistato il cuore di ogni sportivo e ovunque fatto esclamare: "E' un'Alfa Romeo!". E il Quadrifoglio, un simbolo della fortuna che, bisogna riconoscere, ha comunque sempre accompagnato la vita dell'Alfa, posto sui suoi cofani ha identificato l'anima sportiva e l'aggressività di tutte le vetture del "Biscione".  Simboli ancora vivi per un mito immortale.
 Ebbene, oggi là, al Portello, dove un tempo sorgevano quei famosi stabilimenti i cui prodotti hanno oscurato più di una volta la fama di Case ben più potenti, sorge oggi un grande centro commerciale che, pur con avveniristiche architetture, non ha niente che ricordi i famosi progettisti come Merosi, Jano, Satta Puliga, Chiti, ... che  in quei luoghi hanno creato dei capolavori oppure quei piloti che li hanno sempre portati al successo come Campari, Nuvolari, Fangio, .... ed infiniti altri.   E con loro i carrozzieri che di quei capolavori di meccanica hanno fatto incredibili opere d'arte: Zagato, Touring, Castagna, Pininfarina, ... Persino Enzo Ferrari, che in Alfa e con l'Alfa ha costruito il suo successo e la sua gloria, ha sempre dichiarato che l'Alfa Romeo fu per lui gran maestra di vita e da essa ha tratto i più importanti insegnamenti per la sua esistenza !

 Fino al 2010 nulla più esisteva a Milano o nel mondo che ricordasse degnamente la Casa che noi amiamo, o le sue vetture, anche le più moderne, che ancora sanno dare tante emozioni e piaceri a chiunque abbia la fortuna di guidarle.  Ognuna di esse racconta e rappresenta tuttoggi una storia affascinante fatta di uomini con la voglia di vincere. Sempre. Questa era una ingiustificata "damnatio memoriae" che l'Alfa proprio non meritava e noi del RIAR non potevamo accettare.

 Ed è proprio per questo che il Registro Italiano Alfa Romeo (RIAR), che dal 1962 vive in Alfa e riunisce tanti appassionati nel mondo, ha  voluto rendersi, anche in loro nome e rappresentanza, promotore di una iniziativa che finalmente e definitivamente ricordasse ai posteri la Casa milanese e quanto essa sia stata importante nei nostri cuori e nella storia dell'automobilismo. E' pertanto con questo spirito che, con l' occasione delle celebrazioni del Centenario Alfa Romeo (1910 - 2010),  si è voluto realizzare un monumento da offrire alla Città di Milano e agli appassionati ma da collocare soprattutto in un'area di grande impatto emotivo e comunque di grande frequentazione.  Un monumento a ricordo e in omaggio per coloro che hanno reso la storia dell'Alfa una leggenda immortale che ha sempre esaltato il genio, lo stile e l'eccellenza del " fare " italiano.
 Il progetto del monumento voluto dal RIAR, firmato da Antonio Rosti e Ramon Sellers, è stato l'ultimo lavoro in assoluto eseguito dal Centro Stile Alfa Romeo di Arese, prima del suo trasferimento a Torino, e ha voluto trovare ispirazione nella vettura 1900 C52 " Disco Volante " degli anni '50 le cui linee avveniristiche, perfetta simbiosi tra passato e futuro, sono un inno al design e alla velocità.   E il tutto doveva essere realizzato in bronzo ... così da durare nel tempo e nella memoria.  Per far confluire però le pur stupende forme di un' automobile in una scultura ci voleva un grande artista.  Meglio ancora se milanese, data la storia dell'Alfa.

 Il Maestro Agostino Bonalumi (frequentando lo studio di Enrico Baj dove conobbe Lucio Fontana, Piero Manzoni ed Enrico Castellani divenne uno dei più grandi Maestri dell'arte astratta del '900), recentemente scomparso, peraltro faceva parte del gruppo di artisti scoperti e promossi dal barone Giorgio Franchetti, cofondatore del RIAR nel 1962 con Francesco Santovetti, ci è subito sembrato la figura ideale cui affidare la realizzazione del nostro sogno.  Avevamo trovato il binomio perfetto : il Centro Stile di Arese ed Agostino Bonalumi.

 Le linee dell'automobile si sono così fuse con le steli e le estroflessioni di circa quattro metri dedicate all'Alfa da Bonalumi. Il Maestro con le sue famose estroflessioni, che sembra nascondino musi, parafanghi o appendici aerodinamiche di Alfa, ne ha infatti letteralmente elevato il valore artistico e culturale verticalizzando le forme sinuose della vettura in una simbiosi di arte e velocità, come se il vento ne avesse formato le linee e trasformato il basamento in una pista di decollo.
 L'automobile è simbolicamente la velocità, le colonne sono gli obelischi della civiltà contemporanea.  Le superbe steli che erette richiamano l'attenzione sull'aerodinamicità dell'elemento orizzontale, ricavato dalle curve flessuose di una vettura del Museo di Arese ma che, rispetto al modello originale, la Disco Volante, ne hanno snellito tutti gli elementi che la obbligano a stare in terra.  Non ci sono le ruote perchè sono superflue, non ci sono le maniglie perchè sono superflue, non i vetri perchè superflui e neppure il motore perchè è già nel cuore stesso della fusione.  Le curve che fuoriescono dagli elementi verticali dialogano con il muso dell'automobile, pur essendo tipici dell'arte di Bonalumi.  L'auto sembra fatta da lui e le colonne dal Centro Stile di Arese.

  La magnifica scultura di proprietà del RIAR, collocata davanti l'ingresso principale della Fiera di Milano Rho, dal 24 giugno 2010 da il benvenuto a milioni di visitatori che ogni anno in essa convergono da ogni parte del mondo per le più importanti manifestazioni.  E sarà lì per l'EXPO 2015.
 E tutto questo si è potuto realizzare con il solo esclusivo aiuto di centinaia di appassionati nel mondo grazie ad una entusiasta sottoscrizione cui tutti hanno aderito in varia misura ed al concreto aiuto dell'ENEL, del Gruppo Rovagnati, dell'Eberhard e dell'ASI.
 Questo è il RIAR.  Un monumento per uno stile.

Stefano d'Amico

lunedì 19 marzo 2018

Gli anni della Dolce Vita (quando fondarono il Riar)

Gli acquarelli di Roesler Franz raccontano una Roma ottocentesca, antica, romantica e certo sparita, “memorie di un’era che passa”, testimonianze di quello che appunto “era” e che precedeva i grandi mutamenti radicali imposti da una nuova struttura urbanistica, razionale, sociale e moderna.

Nel 1870 dalla breccia di Porta Pia, oltre ai bersaglieri di Raffaele Cadorna e al sottotenente Edmondo De Amicis, entrarono infatti anche i venti nuovi della libertà e della rivoluzione. E sparì così la Roma di un Papa pastore e giustiziere, assopita sulla sua storia millenaria e adagiata su rovine antiche sparse ovunque attraversate dal vento sottile e pungente della voce popolana e beffarda di Gioacchino Belli o dell’impietoso Pasquino. Come il piacevole “ponentino”, quei venticelli torneranno anni dopo con Trilussa e Petrolini a riprendere gli umori sempre turbolenti “der popolo incazzato”. Negli anni del “ventennio” appunto, quelli fattivi delle grandi bonifiche, dei piani agrari, delle nuove opere urbanistiche e architettoniche, Roma diventerà la capitale autarchica di un’Italia nuova ed operosa illuminata da un effimero sole “libero e giocondo” ma soprattutto dai riflettori di un moderno, sensazionale e dirompente mezzo di comunicazione: il cinema.

Sarà il cinema a creare i nuovi miti, i divi, le mode, i sogni e le illusioni finché anche Roma avrà nel 1935 a Cinecittà la sua Hollywood animata da registi ben diversi dagli americani, per cultura e capacità, come Blasetti, Camerini, Soldati, De Sica, Antonioni, Visconti e attori straordinari dallo stesso De Sica a Totò, dalla Ferida alla Calamai.
 Con il cinema arriveranno anche la distrazione e la spensieratezza. Fu in buona parte anche il cinema, oltre al Piano Marschall, ad allontanare anni dopo i lutti, i dolori e i disastri di una guerra terribile e mondiale. Gli americani sfornavano film in continuazione, dai western a Via col Vento, i cui attori, belli e sorridenti, animavano il jet set internazionale ispirando mode ed atteggiamenti molto glamour mentre da noi il neorealismo raccontava l’Italia del dopoguerra, della volontà di lasciarsi il passato alle spalle, della disperazione e del riscatto e comunque della speranza.
 Ma saranno proprio le antiche vestigia e i passati fasti a riaccendere su Roma le luci di una ribalta “colossale” ed effervescente. Vacanze Romane con Gregory Peck ed Audrey Hepburn (1953) e il premiatissimo Ben Hur (1959) con Charlton Heston, entrambi con la regia di William Wyler, rilanciano l’immagine e la storia di una Roma imperiale ed eterna, nuovamente gaudente, illuminata e piacevole da vivere.

Seguirà nel 1963 il grandioso Cleopatra con gli amori burrascosi, non solo sul set, tra Cesare e Cleopatra ma anche nella vita tra Richard Burton e Liz Taylor con gran fermento dei rotocalchi di tutto il mondo e dei locali notturni di via Veneto.

Erano gli anni ’60, gli anni del boom economico, dove tutto era facile, il futuro splendente, gli amori facili ed impetuosi e lungo i marciapiedi di via Veneto, come alcove volanti, erano in attesa fiammanti auto americane, barocche e piene di cromature vicino alle più belle ma essenziali auto sportive italiane, quelle oggi regine di importanti aste internazionali, quelle di Porfirio Rubirosa e Baby Pignatari, quelle di Sandro Pallavicini e di Roberto Rossellini. Con decine di paparazzi a cercare di catturare scandali, velate nudità, litigi e sorrisi. Famosa la frase del mitico Rino Barillari, vero re dei paparazzi, a Rock Hudson per farlo sorridere piuttosto che con un solito: “cheese !”, con un più genuino: ” ‘a Rocco dicce formaggio !”.

 Ma il bello, per gli appassionati anche di auto come me, arrivò quando vidi il barone Franchetti posteggiare la sua Alfa Romeo 6C 1750 del 1932 davanti al Cafè de Paris, oggi chiuso … per mafia. Con lui la bellissima cugina Afdera (futura moglie di Henry Fonda) e Silvana Mangano. Erano loro i veri registi non tanto della dolce vita chiassosa e spensierata, quanto della vera vita, quella dei palazzi e dei salotti più esclusivi, non solo di Roma ma di ogni angolo del mondo dove incontravi i più noti politici e i prelati più raffinati.

Henry Fonda e Afdera Franchetti
Dall’eleganza e dallo charme, oggi spariti anch’essi, della mondana via Veneto al terreno di caccia di Ponte Milvio. Si, perché a poche centinaia di metri dallo storico ponte c’erano gli stabilimenti e i teatri di posa della Titanus di Gustavo Lombardo. In via della Farnesina, proprio sotto Monte Mario ( Rocco e i suoi fratelli; il Gattopardo; Pane, amore e fantasia; Poveri ma belli; …). E proprio sulla piazza, nel lato dove oggi ci sono un’edicola e un chiosco di frutta (dar Pistola, er cocommeraro), c’era fino a una decina di anni fa la mitica Trattoria Biagini. Davanti ad essa sempre bellissime auto e soprattutto un paio di vecchie Alfa con ricchi e brillanti signori. La proprietaria era una popolana affascinante, si sussurrava con amori e amicizie di ogni genere di cui non si poteva parlare, e il fratello un simpatico chiassoso buontempone. Famosi i loro tagliolini cacio e pepe ma ancora più famose le numerose comparse e attricette che scendevano in piazza, affamate non solo di gloria ma anche di un bel piatto di pasta e magari di altro, tutto spontaneamente offerto dai nostri gentiluomini a caccia, non più in Africa e in Dankalia insieme ad Ernest Hemingway, ma quasi sotto casa !

Tra essi primeggiavano appunto Giorgio Franchetti e Francesco Santovetti che già nel 1962 avevano fondato a Roma il Registro Italiano Alfa Romeo, un’altra leggenda della passione, della cultura e dell’entusiasmo del bel paese destinata anch’essa, quasi sessant’anni dopo, a scomparire probabilmente nel banale e a confondersi nella decadenza multinazionale dei tempi. Una vita divenuta oggi non più dolce, ma solo rumorosa, tra rifiuti di ogni genere sparsi ovunque, giovanissimi dagli occhi spenti e dai pantaloni lacerati, i visi illuminati dal chiarore dei loro telefonini, amici nel web e ignari della storia e della cultura che hanno attraversato quella piazza e quel Ponte …. dai tempi dell’imperatore Costantino.


1957 Grottaferrata, Roma, in villa da Alvise de Robilant. Giorgio Franchetti guida la cabriolet 1750 della sorella Tatia, alla sua sinistra. Dietro Cy Twombly e Betty Stokes-Robilant.
Fu proprio il barone Franchetti a far capire a tanti prima di noi che le auto “vecchie”, tutte, non solo quelle più blasonate, avevano diritto alla conservazione ed al rispetto in quanto testimoni e ambasciatrici di un’epoca passata, della creatività operosa e dell’ingegno umano. Ricordo una sua violenta reprimenda ad alcuni giovanissimi figli di amici romani che andavano in giro “a far casino” con altri studenti su una Fiat 501 degli anni ’20. Ed è anche così che molte auto si sono salvate dall’abbandono, dall’incuria e dai numerosi rottamatori che prosperavano nelle periferie della città. Riuscì anzi, a suon di robuste mance, a farli diventare suoi informatori quando capitava un relitto giudicato interessante. E nacque in quegli anni anche la voglia di incontrarsi e confrontarsi con altri appassionati, italiani e stranieri.

I primi raduni romani si svolsero all’ombra dei secolari alberi di Villa Glori, sotto il quartiere Parioli, nello spiazzo con la stele che ricorda ancora il sacrificio dei Fratelli Cairoli per la liberazione di Roma nel 1867. Poi vennero le gite ai Castelli con pranzi indimenticabili al mitico Vecchio Fico, poco prima di Grottaferrata, per arrivare piano piano ….. fino in Inghilterra. Nel 1962, in pieno boom economico e mutuando l’idea ed il nome dagli amici inglesi, fu costituito anche il Riar (Registro Italiano Alfa Romeo) che ebbe la sua sede nel Villino delle Fate, costruzione romantica e stravagante dovuta all’estro di Gino Coppedè, in via Brenta 7 già dimora del tenore Beniamino Gigli. La sede ludica e conviviale non poteva che essere il Circolo Canottieri Aniene sul Tevere nelle cui sale venivano prese “impegnative” decisioni motoristiche e mondane ….. l’ars amatoria è sempre stata infatti un elemento che ha accompagnato il cammino di tante passioni, quella dell’auto per prima. Ci sarebbe qui spazio per un intero libro di memorie inutili, piccanti, sentimentali, avventurose e persino comiche con il pacato brontolio di vecchi motori nel sottofondo.

Ma questa è la Roma sparita, la Roma sporca e decadente dei nostri giorni, con la sua volgare chiassosità e il traffico indifferente, con turisti laceri e frettolosi lungo strade piene di buche in cui precipitano i ricordi di un passato non lontano ma molto diverso ….


martedì 13 marzo 2018

E Der Teufel entrò nella leggenda...



18 luglio 1935. Malgrado la stagione, pioggia e cielo grigio, quasi come segno infausto, fanno da sfondo  all'imminente Gran Premio di Germania al Nurburgring. Oltre 300.000 spettatori e le più alte autorità del Reich, Fuhrer compreso, affollano le tribune e i bordi della pista sotto migliaia di bandiere con la croce uncinata. I tedeschi sono pronti a festeggiare l'osannata vittoria, tutta germanica, delle potentissime Mercedes e Auto Union, esempio della più raffinata e moderna tecnologia teutonica. La gara, che nasconde sottili ma evidenti risvolti politici, si annuncia come l'evento più importante dell'anno; alle cinque Mercedes (Caracciola, Lang, Von Brauchitsch, Fagioli, Geiger) e alle quattro Auto Union (Varzi, Rosemayer, Stuck, Pietsch) si contrappongono le vecchie Alfa P3 della Scuderia Ferrari con Nuvolari, Brivio e Chiron, poi alcune Maserati, la Bugatti di Taruffi e la 8C Monza di Balestrero per una lunga gara di 500 km.

I pronostici sono ovviamente scontati e persino il potente Alfred Neubauer, Direttore Sportivo della Mercedes, dichiara alla stampa che il nostro Nuvolari ha solo un grande passato mentre presente e futuro appartengono ai piloti del Fuhrer.

Partenza con pioggia. Caracciola prende il largo inseguito da Rosemayer e da un Nuvolari .... indiavolato. Il ritmo imposto da Nuvolari che non molla un attimo non lascia tregua su un circuito lungo, impegnativo e assai insidioso. Rosemayer non lo regge e sbatte contro le barriere rovinando l'avantreno. Tazio, secondo, controlla Caracciola e poi lo infila con decisione. Passa così primo sul traguardo inseguito a distanza da ben nove macchine tedesche, si ode il rombo  della sola P3 tra un silenzio smarrito e la bandiere afflosciate dalla pioggia. La mattina ha detto a Ferrari : "Me lo sento, oggi vinco io ! Prepara la bandiera italiana" ma non lo hanno preso troppo sul serio ! Sempre il solito sbruffone.

Intanto le P3 di Brivio e Chiron avevano esalato l'ultimo respiro ed erano ferme ai box. A metà gara Nuvolari, primo, si ferma ai box per rifornimento e cambio gomme. Un disastro. Per la fretta si spacca la pistola della benzina che viene travasata a mano; Nuvolari impreca come un turco e riparte come un folle ! Il ritardo lo ha portato in sesta posizione e la rabbia fa scatenare il mantovano che con furia e tenacia riprende tutti e infila allo spiedo prima Stuck, poi Fagioli e quindi Rosemayer. Dai box il Direttore  Ferrari gesticola invitandolo alla cautela ma Nuvolari risponde con un gestaccio.

Passa con foga Caracciola, secondo, che non se lo aspetta e si fa sotto a Von Brauchitsch che appena si accorge, a mezzo giro dal termine, di aver incredibilmente Nuvolari alle spalle va in tilt. Sbanda alcune volte, affronta curve fuori traiettoria e gli scoppia una delle gomme, già sulle tele per la strapotenza del suo motore. Mancano pochi chilometri. Nuvolari va in testa, lo speaker e la folla ammutoliscono, il volto di Hitler, già pallido di suo, diventa ancora più bianco per la collera mentre le alte cariche del III Reich intorno a lui son terree per la paura delle prossime ritorsioni. Nuvolari è primo davanti Stuck e Caracciola. Panico totale. Gli organizzatori non avevano neppure preparato l'inno nazionale italiano. Ma in Italia la radio e l'Istituto Luce trasmettono subito l'esaltante notizia della grande vittoria, tipica dell'Italia e dello spirito fascista. Ma qui ha vinto l'Uomo, e solo lui. E da allora i tedeschi lo chiameranno Der Teufel ... il diavolo. Un diavolo che entra nella leggenda.


Il Trofeo consegnato da Hitler a Nuvolari. Salvato dalla dispersione del suo archivio è ora conservato al Museo Nuvolari di Mantova